Baffle e setti interni (1/3)

Uno degli aspetti su cui si può intervenire per incrementare le prestazioni di un telescopio, è quello legato al fenomeno indesiderato della luce diffusa, dovuto alla riflessione della radiazione che proviene da sorgenti esterne da parte delle superfici che precedono il rivelatore del telescopio (o dell’oculare), che sono caratterizzate da una certa rugosità superficiale (da cui deriva la riflessione diffusa).

I baffles sono dei dispositivi che consentono di ridurre i disturbi dovuti  alle fonti di illuminazione diretta, o diffusa dalle superfici interne del telescopio, che tendono a diminuire il contrasto nelle immagini o addirittura a provocare i cosiddetti ghost (immagini fantasma).

Generalmente in tutti i telescopi, per tentare di ridurre l’effetto indesiderato di questi disturbi, si annerisce l’interno del tubo con vernici nere basso riflettenti, così che la radiazione riflessa dal tubo sia minima. In aggiunta a questo però, si possono inserire dei setti (pareti a corona circolare) che hanno lo scopo di intercettare l’ eventuale luce riflessa o diffusa dal tubo, schermandola allo specchio primario, in un certo senso come si fa con la mano sulla fronte quando ci si vuole riparare dalla luce del sole.

Questi dispositivi sono assolutamente di primaria importanza nei telescopi e nelle camere ottiche delle sonde spaziali, in quanto oltre a proteggere il sensore da fonti di disturbo, dovuti al sole o alla radiazione di corpo nero dei pianeti, consentono alche un primo controllo termico passivo dello strumento. Sono quasi sempre presenti anche nei telescopi rifrattori o nei riflettori di buona qualità, ma praticamente mai impiegati nei dobson. In effetti per chi è abituato ad osservare da cieli molto bui, i baffle non sono essenziali, in quanto vengono a mancare le principali fonti di disturbo luminoso (sole, luna, luci artificiali ecc), ma per tutti coloro che spesso si trovano ad osservare in cieli sub-urbani dove le luci artificiali possono inquinare la qualità delle immagini, o per chi osserva stelle doppie o oggetti anche con la presenza della luna in cielo, allora questo dispositivo può migliorare sensibilmente le performance del proprio telescopio.

Come accennato in precedenza, i setti presenti all’interno del telescopio devono essere posizionati in modo da impedire almeno la prima riflessione diretta verso lo specchio da parte di una qualsiasi porzione di superficie del tubo interno. Baffle ben costruiti e progettati, possono costringere la luce a dover effettuare diverse riflessioni prima di poter giungere allo specchio primario, abbattendo così l’intensità della radiazione diffusa ad ogni riflessione. Ad ogni modo per applicazioni amatoriali l’eliminazione della prima riflessione diretta verso lo specchio, è più che sufficiente per innalzare la qualità delle immagini osservate.

 ESEMPIO PER UN TELESCOPIO NEWTONIANO

  • Determinazione dell’altezza minima del tubo.

Nell’immagine a fianco è rappresentato lo schema di un telescopio Newtoniano, in cui si possono distinguere, lo specchio primario di diametro “D”, lo specchio secondario, il focheggiatore, la parete interna del tubo del telescopio di diametro “Dt” e il cono di luce che si apre verso il cielo con un angolo pari al campo di vista del proprio strumento (da un lato) e un con una certa dimensione del campo illuminato (dall’altra). Con “a” si intende lo spazio tra il bordo dello specchio e la parete del tubo.
Una volta che si hanno a disposizione questi dati, si può iniziare determinando quale sia la lunghezza minima necessaria del tubo.

Il criterio più banale è quello di farlo un poco più alto dei punti di attacco dello spider del secondario, ma questa è una soluzione sbrigativa e non ottimale. Un criterio migliore, è quello di tagliarlo ad una lunghezza tale, che nessuna luce possa arrivare in maniera diretta all’interno del campo illuminato nel piano focale.
Per determinare questa quota, bisogna tracciare una linea che parte dall’estremità inferiore del campo illuminato fino al bordo superiore, e più interno al telescopio, del barilotto del focheggiatore. Prolungando questa linea fino ad incontrare la parete interna del telescopio dal lato opposto, si ricava la quota minima a cui far terminare il tubo. Infatti ogni altra linea partente da una quota superiore a quella minima appena trovata, non riuscirebbe ad entrare nel campo illuminano del telescopio, in quanto incoccerebbe prima il barilotto del focheggiatore.  Nel caso di un tubo chiuso, la linea speculare a questa, che scende in direzione del primario, non ha importanza, in quanto il tubo o l’eventuale telo nero (in un dobson) schermano i raggi provenienti da questa zona.

Se invece nel proprio telescopio non è presente ne il tubo, ne un telo attorno alla struttura reticolare, è bene inserire un paraluce che copra interamente la zona compresa tra le due linee rosse sopra tracciate (come è possibile vedere in questa immagine).

 

Se il tubo fosse troppo corto, quindi con un’altezza inferiore a quella minima, come spesso accade quando il criterio di scelta è quello di farlo terminare appena al di sopra dei punti di attacco dello spider, accade che qualunque sorgente luminosa, artificiale e non, che si trovi all’interno del cono tratteggiato in rosso, nell’immagine sottostante, riuscirebbe ad arrivare direttamente sul sensore fotografico o all’oculare degradando notevolmente le immagini.

Nel caso di un telescopio dobsoniano, generalmente la regola è quella di minimizzare masse e ingombri, cosa che induce a realizzare celle per il secondario molto sottili, e non in grado di schermare le luci indesiderate. In rimedio a questo, molti astrofili si costruiscono dei paraluce cilindrici smontabili, da collocare sulla sommità del telescopio, che hanno la doppia funzionalità di schermo contro le luci esterne e di protezione contro l’appannamento e la formazione di condensa sul secondario.
Un esempio ne è quello descritto in questo articolo da Giulio.

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